Sono molto riconoscente nei confronti di Jessica Horsley per questa commissione da lei voluta e portata a concretizzazione. Ho già avuto modo di apprezzare il suo valore musicale in una precedente occasione, legata ad una delle mie non rare divagazioni alle prese con organici curiosi (la commissione da parte di Ars Braemia di un brano per baryton, strumento del quale la Horsley è virtuosa) e sono felice di ritrovarla ora alla guida di una formazione prestigiosa come la Kammerorchester Basel.
Il mio lavoro nasce avendo come ambientazione emotiva il mondo poetico ed immaginifico di Danilo Kiš, scrittore serbo da annoverare fra le presenze letterarie più importanti dello scorso secolo, e rimandando in particolare ad uno dei suoi romanzi più famosi,
Giardino, cenere, scritto fra il 1962 e il 1964. In quelle pagine le drammatiche vicende autobiografiche che vedono il padre scomparire nell’abisso dei campi di sterminio nazisti vengono trasfigurate in senso visionario e mitico, non annullandone certo l’angoscia ma proiettandola in un mondo irreale, in cui finzione, maschera e illusione disegnano mondi e prospettive immaginarie.
La cenere e il giardino, come detto, segue emotivamente il percorso del romanzo, non proponendosi articolazioni formali parallele nel dettaglio – peraltro quasi impossibili prima ancora che inutili - quanto tenendone presente l’arcata complessiva e l’utilizzo costante di tecniche associative umorali, non rettilinee. Nel corso dei dodici minuti circa di durata, in modo discontinuo, il lavoro propone infatti una progressiva perdita di energia figurale, una sorta di evaporazione delle certezze raggiunte nelle prime pagine, capaci ancora di momenti assertivi: la scrittura perennemente in divenire di un mitico Orario delle comunicazioni tranviarie, navali, ferroviarie e aeree planetario, opera alla quale il padre del protagonista attende da sempre, si inceppa, le pagine, come mobili di famiglia assaliti dal tempo, si sbriciolano, le locomotive si bloccano in stazioni cadenti.
Se questo è il contesto emotivo e immaginifico del lavoro, tutto ciò si sostanzia dal punto di vista compositivo innanzitutto in una struttura complessivamente bipartita, che al ritorno della situazione iniziale, esaurita l’energia delle prime sezioni, fa corrispondere l’avvio della parabola discendente e disgregatrice ora ricordata.
A collegare gli episodi, sia pure attraverso la loro diversità locale e le loro caratterizzazioni volte ad un massimo di riconoscibilità ad ogni ritorno, vi è un materiale armonico estremamente ristretto, ricavato secondo procedimenti assai semplici dall’accordo simmetrico di otto suoni presentato in apertura. Esso genera alcune derivazioni lineari, a tratti veri e propri frammenti tematici ricorrenti che si presentano nascosti di volta in volta dietro maschere differenti, similmente alle imprevedibili ricomparse del padre del protagonista narrante. Ogni elaborazione assume quindi concretezza facendo ricorso alla tavolozza infinitamente variegata offerta dai sedici archi solisti i quali, pur circoscrivendo le tecniche utilizzate ad un ambito sostanzialmente consolidato e lontano da territori estremi, forniscono una materia cromatica maneggiata e cesellata sempre con estrema attenzione.
I am very grateful to Jessica Horsley for the commission requested by her and now brought to fruition. I have already had the opportunity to appreciate her musical worth on a previous occasion, in one of my not rare excursions into strange combinations of instruments (the commission by Ars Braemia for a piece for baryton, an instrument of which Horsley is a virtuoso) and I am glad to meet her again now as conductor of such a prestigious ensemble as the Kammerorchester Basel.
My new work stems from the emotional environment of the poetic and imaginative world of Danilo Kiš, a Serbian writer to be listed among the most important literary figures of the last century. The work refers in particular to one of his most famous novels,
Garden, ashes, written between 1962 and 1964. The book recounts the dramatic autobiographical events that see his father disappear into the abyss of the Nazi concentration camps, transforming the story in a visionary and mythic sense, certainly not annulling the anguish, but projecting it into an unreal world, in which fiction, mask and illusion combine to draw imaginary worlds and perspectives.
La cenere e il giardino, as I said, follows the emotional path of the novel, not so much by creating any formal parallels in the detail, something almost impossible as well as pointless, but keeping in mind the overall form and the constant use of humoral, not straightforward associative techniques. In the course of its approximately twelve minutes, in a discontinuous way the work displays a progressive loss of figural energy, a sort of evaporation of the certainties reached at the start, still capable of assertive moments: the writing still in progress of a mythic guide to bus, ship, rail and air travel, a work his father had been working on for ever, becomes stuck; the pages, like the family furniture assailed by time, start to crumble, the locomotives are blocked in decaying stations.
While this is the emotional and imaginary context for my work, all this, from a compositional point of view, is captured above all in an overall two-part structure, which at the return of the opening situation, exhausts the energy of the first sections and corresponds to the onset of the descending and disruptive parabola now remembered.
Linking the episodes, albeit through their local diversity and their characterizations aimed at allowing them to be easily recognized at each return, there is some extremely limited harmonic material, built using the quite simple procedure of a symmetrical chord of eight notes presented at the opening. This generates some linear derivations, sometimes actual recurrent thematic fragments that each time are hidden behind different masks, similarly to the unpredictable reappearances of the father of the protagonist. Each elaboration thus takes on a concrete form by resorting to the infinitely varied palette of colours offered by the sixteen string soloists which, though limiting the techniques used to a substantially consolidated sphere and far from any extreme territories, provide a chromatic matter always handled and shaped with extreme care.