A proposito del Macbeth: la collaborazione con Vittorio Sermonti
Per un compositore italiano il rapporto con Verdi, a costo di dire una grandissima banalità, è inevitabile: magari per rifiutarlo drasticamente, magari ancora, a volte, per irriderlo, meglio ancora, però, per trovarvi le radici di una forte componente della nostra costituzione musicale, ed è questa la situazione nella quale mi riconosco.
Io mi ritengo un frequentatore selettivo e parziale del mondo operistico, e nella mia attività compositiva, per ora, me ne sono sempre tenuto lontano, per timore reverenziale, per interesse latitante (e, diciamo la verità, per mancanza di occasioni significative...).
Quanto propostomi in questo caso era però decisamente interessante, in quanto si voleva mirare ad una riflessione su un'opera, ed in particolare, nel mio caso, su un'opera come il
Macbeth, che da sempre mi affascina.
La collaborazione con Vittorio Sermonti è stata appassionante e fruttuosa, e per me è stato motivo di stupore vedere come si trasformassero in passi di grande presa drammaturgica le mie osservazioni di natura tecnico-musicale circa alcune sorprendenti coerenze verdiane (la cellula "do-re bemolle" ad esempio, che, unitamente all'intervallo di terza minore, genera ogni materiale melodico secondo una logica costruttiva astratta che a tutta prima non ci immagineremmo).
Il testo letterario, che è quindi sempre puntuale e pronto ad entrare nelle pieghe delle scelte musicali verdiane, mi ha offerto quasi sempre gli spunti formali necessari, contenendo in sé a volte una ritmicizzazione e una strutturazione che è stato facilissimo - e direi inevitabile - trasformare in organizzazione musicale. Una drammaturgia non esplicita (se non in qualche tratto di discorso diretto) ma allusiva, mediata, alla quale la componente musicale fornisce in chiaroscuro i movimenti di incontro e scontro fra i vari protagonisti menzionati, Verdi compreso.
I materiali musicali presenti in questo lavoro trovano sempre la loro origine nel
Macbeth verdiano, realizzando un gioco sempre mutevole di rimandi più o meno trasparenti: si trasformano talvolta in musica completamente autonoma, dove solo in lontananza si riconoscono gli antecedenti verdiani, mostrando altre volte invece, in maniera più vistosa, la presenza di Verdi.
La parte musicale, in modo - mi auguro - non pedante, mira a sottolineare e a valorizzare le componenti essenziali e profonde della partitura verdiana: ne è un buon esempio il "congelamento" sull'intervallo fatale "do - re bemolle", sorta di lente di ingrandimento che, in apertura, blocca immediatamente lo scorrimento dell'introduzione presentando in questo semitono, come accennato prima, il vero protagonista musicale dell'opera.
Testo e musica: quali relazioni?
La presenza di un recitante impone a mio avviso un'aderenza puntuale dei materiali musicali alle varie sezioni del testo; questo per ottenere un risultato organico, di un qualche interesse, in cui non si assista allo scorrere arbitrario di parole e suoni lungo strade prive di contatto, se non casuale.
A parte i sei numeri unicamente strumentali (introduzioni ai quattro atti dell'opera, marcia di avvicinamento del Re Duncano al castello di Macbeth, commento alla scena del sonnambulismo), in
Ledi ho suddiviso il testo di Vittorio Sermonti in frammenti talvolta assai brevi, ognuno dei quali è collegato a materiali musicali ad esso omogenei e funzionali espressivamente. Guida del gioco è dunque la voce recitante, ai tempi della quale, salvo rarissime eccezioni, si sottomette lo svolgimento musicale: è ovviamente richiesta una grande concentrazione ed attenzione da parte del direttore e degli esecutori, ma il procedimento non risulta eccessivamente complesso da gestire, una volta presa confidenza, e dovrebbe garantire una costante integrazione delle due componenti.
Funzionale a questa impostazione è stata la tendenza ad affidare ad ogni singolo strumento parti che potessero coniugare una soddifacente ricchezza musicale con una decisa praticità e semplicità esecutiva: in molti casi, ad esempio, in corrispondenza di una data sezione di testo vengono proposti al singolo strumentista brevi frammenti ripetibili ad libitum o piccole cellule con le quali improvvisare in maniera libera fino alla partenza dell'episodio successivo.
La complessità musicale (escludendo sempre le sezioni unicamente musicali, dove il gioco si fa talvolta più complesso dal punto esecutivo) viene ricercata per lo più mediante la sovrapposizione di comportamenti esecutivi semplici, piuttosto che richiedendo ad ogni esecutore prestazioni virtuosistiche che non lascerebbero spazio alla scorrevolezza ed alla fluidità del percorso musicale.
Il testo di
Ledi (per non dire il Macbeth) è contenuto nel volume
Sempreverdi, edito da Rizzoli (2002).